A che serve oggi l’Esperanto

A che serve l’Esperanto. È sempre lecito porsi questa domanda. Era lecito farsela ad inizio ‘1900, quando sembrava che la lingua Francese si avviasse a diventare la “lingua Franca” (la cui assonanza con l’etimologia dell’espressione faceva allora ben sperare per i francesi…), ma lo è ancora di più oggi che invece sembra sia l’Inglese orientato a diventare ciò che fu il latino, almeno per il contesto europeo.

E che male farebbe, qualcuno potrebbe pensare superficialmente, ad avere l’inglese come lingua franca europea?
Avevo già menzionato articoli che parlano dei costi europei dell’adozione dell’Inglese, un problema che persone molto qualificate denunciano da anni. Ma lasciando perdere per un momento i costi economici, abbiamo pensato a quelli culturali?
A questi ci ha pensato l’Accademia della Crusca, in un articolo di denuncia molto interessante quanto inquietante e, pare, inascoltato. Un paese che vive anche delle sue profonde radici culturali, forse dovrebbe pensare un po’ meglio a tutelare la propria eredità culturale e con essa il proprio futuro.

L’articolo dell’Accademia denuncia la situazione ma non indica un rimedio. Il problema è che le lingue nazionali non sono neutre per definizione, e tendono a schiacciare le lingue delle popolazioni che le adottano come strumenti di comunicazione ausiliare. È successo per il Greco, il Latino, e l’Arabo, e se la storia insegna qualcosa, è quindi lecito aspettarselo anche per l’Inglese.

Ma se nel caso di queste tre lingue si trattava di popolazioni assogettate, conquistate, sottomesse, per l’Inglese sembra sia una scelta di un popolo, quello Europeo, che almeno in teoria, non dovrebbe sentirsi tale, soprattutto dal punto di vista culturale.

Per gli Esperantisti il problema è ben chiaro e sono anni che ne discutono:

Possibile che in Europa e in specialmodo in Italia non si riesca a lottare per mantenere i propri diritti linguistici e culturali? Eppure la soluzione c’è da più di un secolo: l’Esperanto, una lingua neutra, di nessun paese e di tutti, rispettosa delle autonomie linguistiche. Più aspetteremo ad adottarla, più pagheremo in termini di impoverimento culturale.

In Europa ma soprattutto in Italia, possiamo permettercelo?